1 aprile – 22 aprile 2017
Enrico Bertelli, Andrea Lunardi, Pietro Manzo, Luca Matti, Giuseppe Restano e Andrew Smaldone
Intervento critico di Elena Magini

visibile fino al 22 aprile 2017 su appuntamento info: mdtart@gmail.com
Enrico Bertelli, Andrea Lunardi, Pietro Manzo, Luca Matti, Giuseppe Restano e Andrew Smaldonesono i sei artisti invitati dallostudio MDT per la mostraSpettri del visibile.Il titolo stesso richiama le prime sperimentazioni di Isaac Newton legate all’ottica e alla percezione della luce. Una suggestione che diviene il pretesto per un dialogo e un confronto sul tema della pittura a partire da un suo elemento qualificante, il colore, la sua percezione, la sua assenza.
Ormai da alcuni anni, lo studio MDT è solito dare vita a progetti dove la costruzione di una mostra si fa percorso condiviso e partecipato: gli artisti prendono parte in prima persona alla scrittura del progetto espositivo, interrogandosi sulla propria pratica creativa, mettendo in discussione le dinamiche sottese al processo curatoriale, inventando nuove modalità di riflessione, dialogo e sperimentazione. In Spettri del visibile il concetto stesso di pittura costituisce il materiale vivo di un’indagine che coinvolge sia gli artisti chiamati a esporre, che hanno nella pratica pittorica il proprio medium d’elezione, sia Menicagli, Di Vaia e Tondo, che pur lontani dall’uso esclusivo di questo linguaggio ne sono comunque inevitabilmente affascinati. Quello che ne nasce è una riflessione sulla pittura declinata attraverso l’uso di pratiche estremamente eterogenee che rispondono alle diverse personalità coinvolte nel progetto.
La scelta dell’intervista nasce dalla necessità di inserire il discorso critico all’interno di questo peculiare scambio tra artisti, una modalità diretta per raccogliere le voci dei protagonisti coinvolti e per testimoniarne le scelte espositive. Ad ogni artista e allo Studio MDT sono state rivolteuna serie di domandeal fine di delineareil rapporto con il mediumpittorico all’interno della specificità della produzione di ognuno, andando ad approfondire le dinamiche espressive degli artisti invitati e,più in generale, ragioni stesse della mostra.
Elena Magini: Nel tuo lavoro è presente una forte connotazione concettuale. Perché hai scelto di esprimerti attraverso il medium della pittura?
Enrico Bertelli: Non è una vera scelta, mi sono trovato invischiato nel disegno e nella pittura da sempre. La pittura è un linguaggio, uno strumento con cui si può fare moltissime cose. Nel mio caso penso sia l’interazione più profonda che stabilisco con la realtà. Cerco attraverso di essa di condividere con gli altri la mia posizione, la mia visione. Il mio lavoro è a-simbolico, non ci sono soggetti significanti ma attraverso un processo, una pratica cerco di mettere in rilievo gli aspetti non evidenti, casuali. Questa cosa è molto vicina direi sovrapponibile al mio modo di essere e di leggere la realtà
EM: Pensi che la pittura sia ancora in grado di affrontare la complessità dell’esistente? E in che modo?
EB: L’idea che la pittura fosse anacronistica era legata a motivi contingenti e superficiali. Le tecnologie hanno aperto strade nuove che hanno ampliato i margini delle possibilità per tutti gli artisti. Mi sembra che il problema sia più nella difficoltà di confrontarsi con la pittura dopo decenni di marginalizzazione.
EM: Quali sono gli elementi all’interno di un quadro che consideri essenziali?
EB: In senso generale è molto difficile rispondere, piccole cose, particolari possono determinare cambiamenti enormi, differenze abissali e farmi sembrare un quadro intelligente e profondo o in caso contrario spento e ottuso. Quello che considero essenziale, ma non vale solo per i quadri ma credo possa essere applicato a qualsiasi opera è il coraggio e la personalità!
EM: Perché hai deciso di partecipare a questa mostra?
EB: Sono molto interessato al lavoro degli spazi no-profit, collaboro anch’io con due di questi a Livorno. Ho grande stima per gli artisti che gestiscono MDT e il percorso espositivo che hanno realizzato finora è di grande interesse, per cui mi ha fatto molto piacere essere invitato a questa mostra.
EM: Il tuo lavoro si concentra sull’impalpabilità della visione, sull’evanescenza e la trasformazione della realtà. In che modo la pittura è funzionale a questo tipo di riflessione?
Andrea Lunardi: La realtà, nella sua dimensione in costante divenire, è per me oggetto d’interesse e d’indagine. La pittura, da sola, non è sufficiente a creare quel mondo inafferrabile e transitorio in quanto mancante della dimensione fondamentale del tempo. La pittura, poi, si fa trasformare dallo spazio e lo spazio, a sua volta, la trasforma; allora pittura e luogo sono in continuità, possono evocare presenze o spingere ad una lettura globale.
EM: Come abbatti i limiti del medium pittorico?
AL: I limiti del medium pittorico sono l’essenza del mio lavoro, per questo non li abbatto ma provo a pormi in relazione cercando di indicare possibilità altre di quella tecnica antica che oggi può risultare anche stanca rispetto ad altri linguaggi. La video proiezione smaterializza la superficie pittorica creando il mistero del movimento, le risme dipinte aprono alla possibilità della modificazione continua dell’immagine, alla sua fragilità, fino anche alla sua completa dissoluzione (basterebbe un soffio di vento e il paesaggio svanirebbe per sempre…)
EM: Hai sperimentato personalmente uno spazio di lavoro condiviso diventato luogo di incontro e manifestazioni artistiche. Che valore dai a questo tipo di esperienza?
AL: Ho portato avanti, per alcuni anni uno spazio di lavoro condiviso, aperto alle ricerche contemporanee molto simile a questo dello studio MDT. Mi fa piacere questo invito proprio perché credo molto in questo tipo di realtà, luoghi in cui si respira il fermento delle ricerche, dei confronti e degli scambi. Sono luoghi in cui si riesce a relazionarsi e a dare una risposta alle difficoltà di vivere la provincia.
EM: Quale è il tuo rapporto con le immagini, come vengono rielaborate all’interno dei tuoi lavori anche in relazione al tuo vissuto e alle tue esperienze?
Pietro Manzo: Non ho nessun tipo di rapporto con l’immagine così come tu la vedi, semplicemente perché è conseguenza di un mio vissuto, un mio abitato dello spazio. L’immagine è la conseguenza di questa serrata esperienza vitale tra me e le cose che mi stanno intorno e, semmai, me ne rendo conto solo dopo e successivamente: è lo spettatore che si pone di fronte al lavoro piccolo o grande che sia, ad avere questo rapporto con quanto vede, o quanto intravede nel grumo spesso della fantasmagoria. L’elaborazione è lo spunto di questo stare dentro lo spazio, o abitacolo, è un abbraccio che spesso condanna me e l’immagine stessa poi al posticcio del reale che svela la mia relazione spesso drammatica, e isolata che si fa “carne viva” e cioè pittura, ruvida pittura.
EM: Nell’opera che presenti in mostra la pittura appare da un lato celata, dall’altro assume dimensioni ambientali e materialità oggettuale. Quali sono le potenzialità della pittura?
PM:Grand tour è un dipinto esteso nello spazio, custodisce porzioni di realtà rimescolate in un’unica scena pittorica, che sono il risultato di incursioni all’interno di aree inattive e o inaccessibili. L’opera realizzata su un pannello rivestito di tela, può cambiare forma, diventando nello spazio un paesaggio che rivela continui nuovi punti di vista, e richiede un movimento per goderne l’integrità. Grand tour nasce dopo una serie di lavori dedicati allo stesso tema, e dalla necessità di analizzare e modificare la mia pratica pittorica che innesca un processo di relazioni.
La pittura oggi è più viva che mai perché responsabile, ha superato quel momento di riflessione intima e interna allo stesso medium per farsi di nuovo agile, non obsoleta ma possibile, resistente.
EM: Nelle tue opere affronti temi legati allo spazio che ci circonda, alle costruzioni illimitate delle città contemporanee, mediante uno sguardo onirico e surreale. Come coniughi questi due aspetti all’interno del lavoro?
Luca Matti: Da sempre il tema della città è un elemento ricorrente nelle mie opere, sia nella pittura che nei lavori scultorei. Le mie sono città di varie dimensioni, che raccontano situazioni e storie diverse…delle città totali, che hanno invaso lo spazio e lo abitano. Lo sguardo onirico e surreale di cui tu parli è funzionale al rappresentare questa “ossessione ripetitiva”, fatta di palazzi, di mari di cemento, che si sovrappongono e si annientano tra di loro.
EM: In che modo la materialità del quadro, in particolare l’uso del bitume, contribuisce a connotare simbolicamente i tuoi lavori?
LM: Nelle mie opere cerco sempre di impiegare dei materiali che possano essere collegati in modo intuitivo ai temi che rappresento. La camera d’aria delle mie sculture richiama l’idea di velocità, in passato ho usato il cemento per costruire una sorta di plastico di città, mentre l’uso del bitume è collegato al mio interesse per il tema del petrolio e per lo sfruttamento dei fossili naturali.
EM: Perché hai scelto di presentare Building Head per questa mostra?
LM: Ho proposto alcuni lavori e poi la scelta è stata fatta dallo Studio MDT.. forse perché era l’unico ad essere colorato (ride). Ho sempre lavorato in bianco e nero, il bitume ha effettivamente portato una nota di colore all’interno delle opere. Building Head rappresenta l’uomo all’interno delle città contemporanee, in questa serie i personaggi si confondono con le strutture edilizie, si ibridano, prendendo la forma dell’ambiente in cui sono inseriti, a rappresentare la condizione attuale dell’uomo.
EM: Il tuo lavoro è caratterizzato da una resa quasi iperrealistica degli oggetti, una accuratezza delle immagini portato di una costruzione meticolosa del quadro. Come nasce un tuo dipinto?
Giuseppe Restano: In breve voglio dirti che non ho mai cercato l’iperrealismo, grazie per aver aggiunto “quasi” nella domanda. Quando scelgo un’immagine da dipingere cerco di portarla pittoricamente al pensiero di essa, faccio un intervento di sottrazione, vado ad eliminare tutte le tracce del tempo (le mie gomme non sono consumate, le mie piante non hanno foglie secche).
EM: Consideri la fotografia come un “mezzo” per la tua pittura?
GR: La fotografia non ha un ruolo fondamentale, è solo un passaggio per avere una guida, poi cerco di allontanarmene il più possibile. Desidero portare l’immagine a icona, a pensiero, questa è spesso la direzione.
EM: Il medium pittorico ha un valore di per sé nel tuo lavoro e quale?
GR: Il processo pittorico mi porta a conoscere e a digerire l’immagine scelta, sentirla mia e di riflesso sentirmi testimone del mio tempo.
EM: La memoria delle architetture e lo spazio in cui esse sono inserite sono elementi ricorrenti nelle tue opere. Perché hai scelto la pittura per parlare del tempo e dei luoghi?
Andrew Smaldone: Ho scelto la pittura perché è il mezzo con cui posso affrontare in modo adeguato quello che io chiamo in Inglese “non-space”. Questa terminologia è il mio tentativo di descrivere a parole la consapevolezza di qualcosa che è presente, ma di solito non si vede, né è tangibile, quindi non è una “assenza” di spazio, ma assomiglia alla pienezza del suo aspetto opposto. In altre parole, la pittura è il mezzo che mi permette meglio di parlare di questo “non-space” in relazione al tempo e il luogo.
EM: Che importanza ha la bellezza nel tuo lavoro?
AS: Credo che la bellezza è un valore in sé. Quindi spero che nel mio lavoro si possa riconoscere, soprattutto in un momento in cui l’arte non dovrebbe essere necessariamente solo bellezza.
EM: Colore, tono, trasparenza, composizione, disegno. Quali sono gli elementi principali nella costruzione dei tuoi dipinti?
AS: I principi e gli elementi dell’arte sono estremamente importanti nel mio processo di pensiero per quanto riguarda la realizzazione del mio lavoro. Principi come la proporzione e l’equilibrio sono fondamentali in quanto sono collegati ad altri fenomeni che esistono nel mondo naturale. Elementi come il colore, il tono, la superficie e la forma sono anch’essi estremamente importanti. Credo che gli elementi strutturali dei miei dipinti rivelano aspetti riguardanti il contenuto e viceversa; e penso che tali elementi e principi mi permettono di unificare nella mia pittura aspetti come la dualità e le contraddizioni che mi vengono in mente quotidianamente.
EM: Perchè avete sentito la necessità di fare una mostra sul tema della pittura?
Studio MDT: Sicuramente questa mostra si pone come conseguenza di un’altra mostra tematica che abbiamo fatto qui in studio su una pratica artistica, che è Sistema Fisico, una mostra di qualche anno fa che analizzava il tema della scultura. Spettri del visibile ha un rapporto diretto con questa tipologia di riflessione ed è stato quasi naturale avvertire l’esigenza di raffrontarsi con la pittura. D’altro canto, Franco (Menicagli) e Stefano (Tondo) sono degli scultori, mentre io (Raffaele Di Vaia), pur non facendo pittura vengo dalla scuola della pittura, ho un approccio bidimensionale all’opera d’arte, anche se nelle mie opere cerco di superare questa bidimensionalità.
EM: Siete artisti che ospitate mostre di altri artisti nel vostro studio, sostituendo in qualche misura la figura del curatore dal processo di costruzione della mostra. La vostra è una risposta ad una mancanza, di spazi e occasione espositive, una critica alla pratica curatoriale in stretto senso, o altro?
MDT: Direi che non è la risposta ad una mancanza di situazioni espositive, piuttosto una velata critica rispetto alla figura del curatore. Ogni artista ritiene di capire meglio l’arte rispetto ad un curatore per il semplice fatto di praticarla. Inoltre il rapporto tra artista e artista è diverso rispetto a quello che si instaura tra artista e curatore, c’è un maggiore confronto, una sintonia più piena, quasi un rispecchiamento. Nel caso specifico di questa mostra, attraverso la pittura si propone una riflessione che ci riguarda tutti, artisti esposti e artisti dello studio. È inoltre il motivo per cui abbiamo deciso di condividere uno studio in tre, questa convivenza porta un dialogo e uno scambio quotidiano, che in occasione delle mostre si amplifica e si espande con altri soggetti.
EM: La sensazione, seguendo il susseguirsi delle mostre presso lo studio MDT, è che scegliate gli artisti anche per un senso di “prossimità” con la vostra pratica. Come si sviluppa il processo di selezione e come condividete la scrittura espositiva tra voi tre?
MDT: Noi non programmiamo le mostre, la scelta è quasi casuale, molto istintiva e libera, ed è figlia di quel confronto quotidiano di cui ti parlavo prima. A volte è l’affinità o la curiosità rispetto ad un artista o addirittura verso un’opera che dà il via alla mostra. Il processo di selezione è altrettanto casuale, rispetto alla suggestione iniziale cerchiamo di comporre un dialogo visivo e concettuale che sia il più possibile esaustivo, e che coinvolge ora uno solo di noi, ora, come in questo caso, tutt’e tre.
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